Franco Federici
Franco Federici

Se capita di domandarsi perchè
e come si vede?
Se lo può ( deve?) chiedere chi in quale che sia il modo, pittorico, attraverso la scultura o in ogni altra maniera, si propone di rappresentare le cose della vita e del mondo.
Sintesi delle lezioni di
Teoria della percezione e psicologia della forma
(2006/2007)
ACCADEMIA DI BELLE ARTI PIETRO VANNUCCI
PROGRAMMA DEL CORSO DI TEORIA DELLA PERCEZIONE E PSICOLOGIA DELLA FORMA
Anno Accademico 2006/2007
Nelle lettere da Harvard Bruno Munari scrive dell’opportunità di adattare il programma agli studenti e non viceversa. Afferma che ci sono due modi di impostare un programma di insegnamento nelle scuole d’arte. C’è un modo nel quale l’individuo viene forzato ad adattarsi ad uno schema fisso quasi sempre superato o comunque, nel migliore dei casi, in via di superamento nella realtà pratica di ogni giorno. E c’è un altro modo che si va via via formando, modificato continuamente dagli stessi individui che sono nel processo-progetto di fare arte e dai loro problemi sempre più attuali. In questo caso l’insegnante studia un programma di base il più avanzato possibile, rispetto alla struttura essenziale modificabile secondo gli interessi che emergono dall’insegnamento stesso.
Sulla base della presentazione di questo programma si propone agli studenti di esprimere un giudizio mediante una brevissima relazione che peraltro sarebbe opportuno che accompagnasse la propria domanda di iscrizione al corso. E’ la modalità più corretta per sapere che cosa pensano e dicono gli studenti che guardano allo studio come il miglior modo per imparare le tecniche del loro eventuale futuro mestiere. Quelli che una volta erano i soli e scontati mezzi di comunicazione visiva oggi vengono valutati come inadeguati, statici, lenti. Aggiunge Munari che dopo l’invenzione del compasso nessuno fa più i cerchi a mano libera, salvo che per scommessa o per dimostrazione di bravura.
Il nucleo basale del programma di questo corso è costituito dallo studio dei processi didefinizione percettiva degli stimoli costituiti dal mondo reale. Un collaterale aspetto specifico fa riferimento a distorsioni percettive e per studiarle dal punto di vista della loro costituzione si svilupperà una indagine sulla discriminazione della profondità nella visione monoculare ripercorrendo il progetto di Le Corbusier a la Tourette, prendendo occasione e rivisitando le anomalie percettive determinate dal distacco di retina che gli occorse a 19 anni e la visione che ne conseguiva mimandola mediante l’uso combinato di lenti appositamente studiate e ricercando le capacità di correzione concettuale che riuscì ad attuare e usò nel proprio lavoro. E’ l’occasione per studiare una anomalia funzionale per cercare e spiegare le regole.
Per lo stesso scopo si esamineranno le alterazioni percettive che sono oggetto di recenti ricerche e i sistemi fisiologici di adattamento.
Ci si propone anche di attuare una mostra che ripercorra in una struttura mobile sequenziale il processo percettivo.
Si può dire in generale che esistono pochi problemi della scienza dell’arte che possono fare completamente a meno della psicologia, ma ancora minore è il numero dei problemi che possono essere risolti solo da essa. Poiché nel centro dell’opera d’arte sta sempre l’opera d’arte “concreta” nella fisica, metafisica, metafore delle sue modalità di rappresentazione e con ciò è già stabilita la cornice storica e quella di tutte le condizioni sociali che con esse coesistono. Nondimeno la scienza dell’arte non si risolve in storia e psicologia, poiché essa rimane sempre centrata sull’opera d’arte. In ogni caso però la psicologia di cui la scienza dell’arte ha bisogno deve essere naturalmente una psicologia strettamente scientifica; ma non si può applicarla “senz’altro”, poiché nel campo dell’arte sorgono problemi nuovi e molto complessi. E l’impatto con la creatività è una componente mediatrice essenziale. Dunque di creatività si dovrà “parlare”.
Il programma prospetta l’analisi dei processi di competenza e creazione artistica ricercando di essere all’altezza del tempo presente con la prospettiva di mantenere un vivo rapporto con le arti che coniugano le conoscenze alla fantasia.
Gli argomenti che vengono trattati si sviluppano secondo uno schema che avrà due tipi di contributi derivabili dal Programma delle lezioni :
1) Un “elenco” delle nozioni e dei “territori” del processo percettivo che devono essere nella conoscenza dell’artista che deve usarli con rimesse bibliografiche e indicazioni testuali.
2) Considerazioni-stimolo che vengono raccolte nelle lezioni.
Lezione 1)
Dalla patella e dal nautilus all’occhio umano
- Il problema dei punti di vista delle conoscenze cambia la logica e le motivazioni della fenomenologia del percepire?
- Che cosa significa vedere.
- Dall’occhio al cervello: movimento, colore, ombra nella strutturazione delle forme.
- Lezione 2)
- Adesso disegno e strutturo la profondità.
- La finestra su ciò che è fuori di noi e il linguaggio del segno che lo rappresenta.
- La costanza della grandezza e la costanza dell’angolo visivo.
- Lezione 3)
- La rappresentazione prospettica e la simulazione della distanza.
- Il cervello e la esperienza estetica.
- Lezione 4)
- Cosa c’è dietro la visione naturale di un quadro.
- La distanza come si rappresenta?
- Lezione 5)
- Le leggi della gestalt nell’occhio e nel cervello.
- Il processo evolutivo del sistema nervoso e la “nascita” dell’arte.
- Lezione 6)
- La corteccia visiva.
- I due emisferi cerebrali e le rappresentazioni-interpretazioni della realtà.
- Lezione 7)
- La vista e la luce
- Per parlare di impulsi, sinapsi e circuiti.
- L’architettura del sistema percettivo visivo nel suo complesso.
- Lezione 8)
- Quando il dottor cervello pensa all’illuminazione.
- Ingrandimento e moduli.
- Il corpo calloso e la stereopsia.
- Deprivazione e sviluppo del sistema percettivo visivo.
- Lezione 9)
- Presente e futuro delle conoscenze sulla fenomenologia percettiva.
- Forma, figura, aspetto delle cose.
- Lezione 10)
- Dare forma, plasmare, modellare, organizzare nella percezione visiva.
- Fenomeni generali gestaltici.
- Lezione 11)
- L’immagine si struttura secondo le regole del dottor cervello.
- Legge della vicinanza, della somiglianza, della chiusura, della continuità di direzione, della buona forma, dell’esperienza passata.
- Lezione 12)
- Le figure ambigue.
- Illusioni ottiche e costanti percettive.
- Arte, fotografia, cinema e televisione.
- Lezione 13)
- Multimedialità e rappresentazione del mondo.
- Scambi di sensi: preistorie delle sinestesie.
- La realtà virtuale.
Bibliografia
Johann Wolfgang Goethe
LA TEORIA DEI COLORI
Il Saggiatore
Jean Paul Sartre
IMMAGINE E COSCIENZA
Einaudi
Ernst H. Gombrich
ARTE E ILLUSIONE
Leonardo Arte
Betty Edwards
DISEGNARE CON LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO
Longanesi
Rossella Formilli Rita Marini
PERCEZIONE IMMAGINE ARTE
SEI
Michael S. Gazzaniga
LA MENTE INVENTATA
Guerini e Associati
Richard L. Gregory
OCCHIO E CERVELLO
Cortina
Franco Federici
SNC MODELLI COMUNICATIVI
L.P.B. Teeteto
David H. Hubel
OCCHIO, CERVELLO E VISIONE
Zanichelli
John M. Darley Sam Glucksberg Ronald A. Kinchla
PSICOLOGIA I°vol.
Il Mulino
Ave Appiano
PUBBLICITA’ COMUNICAZIONE IMMAGINE
Zanichelli
Gerald M. Edelman
SULLA MATERIA DELLA MENTE
Adelphi
Lamberto Maffei, Adriana Fiorentini
ARTE E CERVELLO
Zanichelli

Università per Stranieri Perugia
PROGRAMMA DEL CORSO DI PSICOLOGIA DEI CONSUMI E DELLA PUBBLICITÀ
Anno Accademico 2005/2006
Il corso 2005-2006 si fonda sulla esperienza dei due anni precedenti. Pertanto tiene conto a) dei criteri di professionalizzazione che si acquisiscono e dei quali si analizza la qualità e la utilità, b) della particolarità che riguarda la disponibilità di tempo di studenti che
spesso sono già impegnati in attività lavorative, c) della irrinunciabile comunicazione e naturalmente dialogo didattico sulle novità che entrano nello specifico dei consumi e della pubblicità, proponendo nuove conoscenze e nuovi strumenti operativi.
Le lezioni, si terranno il martedì dalle 17 alle 19 alla Palazzina Lupattelli e il mercoledì a Palazzo Gallenga dalle 15 alle 17.
Per questo insegnamento il ricevimento si terrà il lunedì presso i Laboratori di neurologia Sperimentale via del Giochetto II piano.
Si è scritto per definire il consumo che il passaggio dalla premoderna società industriale al nascente mondo moderno vede svilupparsi nelle componenti economiche e sociali, allora definite strutturali, uno sfondo secondario e sovrastrutturale che viene catalizzato nella nuova dimensione dell’Io che deve avere, volere, desiderare, ma anche consumare e tale aspetto diviene una componente strutturale dell’essere.
Da sempre l’uomo ha “usato” sentimenti di possesso, volontà, desiderio, ma il passaggio fondamentale dalla definizione aristotelica “materia, forma, potenzialità, operatività” si ristruttura nella categorizzazione percettuale e concettuale dell’evento, così ogni fenomeno e cosa che coesiste con l’uomo, nella sua esperienza mentale nasce da qualcosa, si sostanzia in qualcosa e si finalizza in qualcosa e in questo trend si colloca il consumo che coniuga e conclude l’avere, l’usare, l’essere.
E il desiderio diviene un elemento essenziale che agisce ai tre livelli delle condizioni causali, dei fenomeni determinati, delle condizioni causate. Le cose assumono così il valore di energia fondante la necessità di scegliere per avere e ciò partecipa e determina certi aspetti del vivere, qui ed ora. Se si analizzano gli schemi mentali dell’uomo dei nostri giorni, degli uomini che siamo, si intravede la lettura funzionale di tale processualità perché ci si confronta in tempo reale con i nostri desideri e se ne riscontra l’attualità.
Se il desiderio si fa valore ecco nascere un linguaggio per esprimere ciò, e le parole si connettono ai flussi informativi della percezione che si forma, si adatta, si sviluppa determinando la capacità interpretativa di quei valori fondandone anche la semantica perchè la combinazione dei flussi informativi produce la capacità espressiva che deriva dalla nuova sintassi che ne è la matrice, “mi serve, lo prendo”.
Una funzione “pratica” del corso sarà impostata sulla analisi della qualità del linguaggio pubblicitario dalla quale deriva la capacità di svolgimento del sistema e di definizione delle scelte che sono integrate alla evoluzione degli standard di vita.
E’necessario anche percorrere lo sviluppo all’interno della disciplina etimologica della storia del linguaggio che evidenzia il percorso che porta al termine e al concetto di “consumi”. Cortellazzo e Zolli nel dizionario etimologico rintracciano in F. Sassetti 1584, la definizione “Atto, modo, effetto del consumare e del consumarsi”. Genera qualche perplessità anche rispetto all’uso corrente la definizione di A. Rosmini 1855, “distruzione totale o parziale di un bene economico per scopi di produzione o per soddisfare bisogni dell’uomo”. Molto più vicino al senso che oggi attribuiamo al termine Dante nel 1294 che per il verbo transitivo consumare fornisce la spiegazione “compiere, portare a fine”. E del resto il latino consummare, è composto parasintetico di summa “punto supremo, somma”.
Il corso sarà l’occasione per rivisitare questi processi linguistici e storici che oggi definiscono il termine consumi. Si esperiranno comparazioni tra l’immagine mentale dei partecipanti al corso in una esperienza atta a definire come il linguaggio verbale interiore e il linguaggio iconico si misurano con quello pubblicitario che certamente ha influito per la definizione moderna del termine.
La pubblicità ha certamente utilizzato, le figure della retorica classica per determinare l’idea moderna ed estesa del consumo e del consumare. Si valuterà la possibilità attraverso un lavoro partecipativo di gruppo, di strutturare una moderna definizione attraverso una decodifica dei messaggi che riguardano il termine consumo.
Della pubblicità gli studenti di questo Corso di Laurea è necessario conoscano le teorie, le tecniche che la sottendono e la strutturano ma qui il contributo specifico che si propone è una analisi critica delle dinamiche mentali che sottendono la comunicazione pubblicitaria che, affidata ad una concatenazione di segni, strutturano suoni, grafie, figure che non stanno solamente a rappresentare se stesse ma qualcos’altro, conduce a un significato che in un determinato contesto veicola il messaggio.
Si esamineranno le strategie iconico-verbali per rilevare la produzione delle immagini che si pongono fra semiotica e retorica.
Dal punto di vista sperimentale si esaminerà la possibilità di produrre una analisi critica del ruolo della pubblicità nel determinare nuovi modelli di comunicazione.
Un testo “generale” dal quale si possono trarre indicazioni può essere per alcuni “tratti” utile. Ogni studente lo può avere dalla e-mail
federici@unipg.it “Quest’università…..” “Come ci si inventa il mestiere di studente….pensando al dopo”.
Testi Utili (la numerosità è da correlare con specifici interessi e non vuole sicuramente indicare la necessità di avere notizie su tutti).
John M. Darley-Sam Glucksberg-Ronald A. Kinchla
Psicologia. Volume I-II-III Edizioni il Mulino-Prentice Hall International
Marvin Minsky
La società della mente. Editore Adelphi
Paul Watzlawicck-Janet Helmick Beavin-Don D. Jackson
Arnheim, R.
Il potere del centro. Torino Einaudi 1984
Baldini M.
Le fantaparole. Il linguaggio della pubblicità. Roma Armando 1987
Calabrese O.
Carosello o dell’educazione serale. Firenze Clusf 1975
De Mauro T.
Minisemantica dei linguaggi non verbali e delle lingue. Bari Laterza 1982
Eco U.
La struttura assente. Milano Bompiani 1968
Eco U.
Trattato di semiotica generale. Milano Bompiani 1975
Lévi-Strauss C.
Il crudo e il cotto. Milano Il Saggiatore 1966
Semprini A.
Lo sguardo semiotico Milano Franco Angeli 1990
Testa A.
La parola immaginata Parma Pratiche Editrice 1988
Watson J. E Hill A.
Dizionario della Comunicazione Novara Istituto Geografico De Agostini 1989
G. Siri
La psiche del consumo Angeli 2000
G. Siri (a cura di)
Psicologia del consumatore Mc. Graw Hill 2004
Paolo Maria Di Stefano
Il marketing e la comunicazione nel terzo millennio Franco Angeli 2003
Fonti “recenti” si ricavano da ricerche su internet. I testi indicati si considerano di base e “utili” per una conoscenza generale.
Programma delle lezioni
Lezione 1) 2 maggio 2006 ore 17/19
· Il consumo dalla premoderna società industriale al mondo moderno.
· I meccanismi di identificazione nelle dinamiche “avere, volere, desiderare, consumare”, componenti strutturali dell’essere.
Lezione 2) 3maggio 2006 ore 15/17
· Relais cerveau-cognition nel processo individuale e collettivo come base del consumo e della struttura pubblicitaria.
· Immagine e identità dell’azienda.
Lezione 3) 9maggio 2006 ore 17/19
· I meccanismi della comunicazione nelle immagini e nella pratica pubblicitaria.
· Analisi del testo pubblicitario.
Lezione 4) 10 maggio 2006 ore15/17
· Minimo comune denominatore fra parola, immagine e scrittura: il marchio.
· Creatività e competizione nel packaging.
Lezione 5) 16 maggio 2006 ore17/19
· Identità visiva dell’azienda.
· Immagine coordinata, architettura, design.
Lezione 6) 17 maggio 2006 ore15/17
· Comunicazione visiva e pratica pubblicitaria: effetti retorici.
· Strategie iconico verbali.
Lezione 7) 23 maggio 2006 ore 17/19
· L’immagine come diventa progetto?
· Analisi critica delle dinamiche comunicative.
Lezione 8) 24 maggio 2006 ore 15/17
· La comunicazione tra informazione e allusione.
· Funzione denotativa e funzione connotativa.
Lezione 9) 30 maggio 2006 ore 17/19
· Le figure sintattiche e le figure semantiche nella pubblicità.
· I significati non unici, aperti a sensi figurali e a diversi contenuti emozionali.
Lezione 10) 31 maggio 2006 ore 15/17
· Il bisogno immaginario
· Visibilità e seduzione della merce.
Lezione N°1 e N°2 2/maggio 2006
Si è scritto per definire il consumo che il passaggio dalla premoderna società industriale al nascente mondo moderno vede svilupparsi nelle componenti economiche e sociali, allora definite strutturali, uno sfondo secondario e sovrastrutturale che viene catalizzato nella nuova dimensione dell’Io che deve avere, volere, desiderare, ma anche consumare e tale aspetto diviene una componente strutturale dell’essere.
Da sempre l’uomo ha “usato” sentimenti di possesso, volontà, desiderio, ma il passaggio fondamentale dalla definizione aristotelica “materia, forma, potenzialità, operatività” si ristruttura nella categorizzazione percettuale e concettuale dell’evento, così ogni fenomeno e cosa che coesiste con l’uomo, nella sua esperienza mentale nasce da qualcosa, si sostanzia in qualcosa e si finalizza in qualcosa e in questo trend si colloca il consumo che coniuga e conclude l’avere, l’usare, l’essere.
E il desiderio diviene un elemento essenziale che agisce ai tre livelli delle condizioni causali, dei fenomeni determinati, delle condizioni causate. Le cose assumono così il valore di energia fondante la necessità di scegliere per avere e ciò partecipa e determina certi aspetti del vivere, qui ed ora. Se si analizzano gli schemi mentali dell’uomo dei nostri giorni, degli uomini che siamo, si intravede la lettura funzionale di tale processualità perché ci si confronta in tempo reale con i nostri desideri e se ne riscontra l’attualità.
Se il desiderio si fa valore ecco nascere un linguaggio per esprimere ciò, e le parole si connettono ai flussi informativi della percezione che si forma, si adatta, si sviluppa determinando la capacità interpretativa di quei valori fondandone anche la semantica perchè la combinazione dei flussi informativi produce la capacità espressiva che deriva dalla nuova sintassi che ne è la matrice, “mi serve, lo prendo”.
Una funzione “pratica” del corso sarà impostata sulla analisi della qualità del linguaggio pubblicitario dalla quale deriva la capacità di svolgimento del sistema e di definizione delle scelte che sono integrate alla evoluzione degli standard di vita.
E’necessario anche percorrere lo sviluppo all’interno della disciplina etimologica della storia del linguaggio che evidenzia il percorso che porta al termine e al concetto di “consumi”. Cortellazzo e Zolli nel dizionario etimologico rintracciano in F. Sassetti 1584, la definizione “Atto, modo, effetto del consumare e del consumarsi”. Genera qualche perplessità anche rispetto all’uso corrente la definizione di A. Rosmini 1855, “distruzione totale o parziale di un bene economico per scopi di produzione o per soddisfare bisogni dell’uomo”. Molto più vicino al senso che oggi attribuiamo al termine Dante nel 1294 che per il verbo transitivo consumare fornisce la spiegazione “compiere, portare a fine”. E del resto il latino consummare, è composto parasintetico di summa “punto supremo, somma”.
Il corso sarà l’occasione per rivisitare questi processi linguistici e storici che oggi definiscono il termine consumi. Si esperiranno comparazioni tra l’immagine mentale dei partecipanti al corso in una esperienza atta a definire come il linguaggio verbale interiore e il linguaggio iconico si misurano con quello pubblicitario che certamente ha influito per la definizione moderna del termine.
La pubblicità ha certamente utilizzato, le figure della retorica classica per determinare l’idea moderna ed estesa del consumo e del consumare. Si valuterà la possibilità attraverso un lavoro partecipativo di gruppo, di strutturare una moderna definizione attraverso una decodifica dei messaggi che riguardano il termine consumo.
Della pubblicità gli studenti di questo Corso di Laurea è necessario conoscano le teorie, le tecniche che la sottendono e la strutturano ma qui il contributo specifico che si propone è una analisi critica delle dinamiche mentali che sottendono la comunicazione pubblicitaria che, affidata ad una concatenazione di segni, strutturano suoni, grafie, figure che non stanno solamente a rappresentare se stesse ma qualcos’altro, conduce a un significato che in un determinato contesto veicola il messaggio.
Si esamineranno le strategie iconico-verbali per rilevare la produzione delle immagini che si pongono fra semiotica e retorica.
Dal punto di vista sperimentale si esaminerà la possibilità di produrre una analisi critica del ruolo della pubblicità nel determinare nuovi modelli di comunicazione.
Quando non era ancora dottore, il cervello percorreva la strada evolutiva dei pesci, anfibi, uccelli, mammiferi. Lasciamo scorrere qualche decina di milioni di anni ed eccoci qui.
Oggi, come dottor cervello, a guardarlo e descriverlo, si corre il rischio di “banalizzarlo” e farlo diventare una scatola che contiene specializzazioni funzionali. Comunque si può procedere con la descrizione. Esso appare avvolto all’esterno dalla corteccia cerebrale che si piega formando numerose circonvoluzioni e solchi in modo tale che la sua superficie totale è molto più estesa di quella che appare dall’esterno, come se fosse un mantello che forma tante pieghe (la espressione è per la casalinga di Voghera). Al disotto si collocano strutture collegate alla corteccia, ricevendone segnali e dandoli o semplicemente regolando il rapporto tra di essi.
Alla base c’è una struttura, l’ipotalamo, che è coperta da molte altre strutture. Il suo nome deriva dal fatto che sta posto al disotto di un’altra struttura, il talamo, che si chiama così perché la sua forma ricorda un letto. L’ipotalamo si collega con le strutture vicine e soprattutto con il lobo libico.
Per comunicare tra le sue parti e gli organi periferici, il cervello si affida a impulsi nervosi che si propagano seguendo le vie delle fibre nervose . (E’ la versione “ingenua” di A. Brodal ricavabile da “neuro anatomia clinica”, un libro che si raccomanda per le sue 182 pagine di preziosa bibliografia). C’è però una altra importante maniera di comunicare tramite la produzione di ormoni, che si propagano seguendo le vie del sangue per raggiungere i recettori di altri organi, regolandone l’attività nervosa sia elettrica che umorale. Il regolatore capo di questo secondo tipo di comunicazione è appunto l’ipotalamo che ha a disposizione una fabbrica di ormoni, l’ipofisi.
E siamo ancora alla lettura “ingenua” come direbbe un matematico.
E ad uso degli studenti che praticate non è male ricordare che:
visto da sopra il cervello pare rappresentare due masse simmetriche, gli emisferi cerebrali destro e sinistro, che sembrano uguali ma presentano delle diversità sia anatomiche che funzionali che ne differenziano i ruoli in maniera considerevole. Le due metà del cervello sono collegate tra loro da milioni e milioni di fibre percorse da segnali nervosi nei due sensi. La maggioranza di queste fibre si raggruppano a costituire le due connessioni interemisferiche principali il corpo calloso e la commessura anteriore. Quest’ultima è spesso trascurata vero?
La parte più superficiale della corteccia di ogni emisfero, la neocorteccia, sembra avere una struttura uniforme ma è suddivisa in aree che hanno specializzazioni funzionali molto diverse. Essa si divide a seconda delle funzioni in quattro lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale.
Il lobo frontale si ritiene, sulla base di molte osservazioni sperimentali, intervenga nel controllo del movimento e nella pianificazione di azioni future. Il lobo parietale è in relazione alle sensazioni somatiche, ad esempio al tatto e alla immagine del proprio corpo. Il lobo occipitale in una estrema esemplificazione è collegato alla percezione visiva. Il lobo temporale agisce con verosimiglianza e molti riscontri sperimentali per l’udito e in alcuni aspetti dell’apprendimento, della memoria e delle emozioni. (Certamente si ricorda dottore di Papez e del circuito ippocampo-mammillo-talamo-cingolare).
L’encefalo dell’uomo si tipicizza per il grande sviluppo della neocorteccia. Nella evoluzione dei vertebrati e soprattutto dei mammiferi si apprezza un grande aumento del numero dei neuroni neocorticali mentre si nota che nelle strutture più profonde le variazioni e gli accrescimenti sono molto limitati.
Insomma il sistema libico, l’ipotalamo e il tronco dell’encefalo (che peraltro è la struttura che contiene i centri vitali ad esempio respiro e battito cardiaco) sono cambiati relativamente poco durante l’evoluzione. Le strutture evolutivamente antiche sono responsabili degli stati emotivi e di molti comportamenti automatici o semiautomatici.
Ma qui tutta l’anatomia descrittiva e anche gli aspetti funzionali correlati,divengono inefficaci se alla rappresentazione della mappa del cervello non si allega una analisi che, preliminarmente e sequenzialmente, cambia i concetti di struttura e di funzione. Le dinamiche evolutive che presiedono la costruzione e il riconoscimento dei pensieri evidenziano come si sia passati dalle rappresentazioni distrettuali cerebrali di funzione alla struttura di “diagrammi di agenzia”.
Sono modelli usati secondo i criteri del Massachusetts Institute of Technology e si inquadrano (M. Minsky è sempre lui a ricordarcelo) nel concetto che “la mente è semplicemente quello che fa il cervello”. Pur coltivando qualche obiezione critica è irrinunciabile non usare questa modalità rappresentativa.
Quando il concetto di rete si sostituisce per la peculiarità della estensione, delle associazioni, delle integrazioni e delle “dicontinuità”, alla “struttura funzionale” atta a una risoluzione, si modificano i criteri di analisi che supponiamo agiscano.
Tengo in mano una mela e mi domando “che cosa è questo”. Seguirà la attivazione di polinemi per parole come “mela” o “frutto”. Esaminiamo il secondo caso. Mi chiedo “ come si chiamano quei frutti rotondi, rossi con la buccia sottile?” Anche in questa formulazione di non espressione diretta ci si domanda come si giungerà al “pensiero” di una mela.
Prima ci si può chiedere come funzionano queste due modalità di riconoscimento e la risposta è che nel cervello queste situazioni non sono tanto diverse. In una caso o nell’altro nel cervello non c’è una mela reale. Ma in entrambi i casi si attua il riconoscimento, in qualche parte della mente, di ciò che accade in certe “altre parti della mente”. Sono in gioco le agenzie gusto, struttura fisica, sostanza. Ognuno dei due schemi è utile per rappresentare le sequenze modellistiche che siamo venuti sviluppando nella nostra testa. In sostanza sia gli oggetti fisici, sia quelli mentali, innescano rappresentazioni che si connotano con meccanismi associativi e procedure logiche e/o analogiche, con semplificazioni e complessità, che attuano la definizione e il riconoscimento delle cose e dei pensieri.
E allora ce la caviamo male con la espressione “non sa nominare la mela che ha in mano, ecco la mappa dell’area 44 lesa ed ecco perché è afasico”.
Questo non è né semplice, né ingenuo. Si tratta soltanto di una lettura arcaica e incompleta. Si badi non falsa, ma non “incorporante” le conoscenze che siamo venuti acquisendo.
E uno schema è quello riportato, lasciando ai lettori il gradito compito di usare le frecce di collegamento.
FORMA COLORE GRANDEZZA
rotondo rosso ET
1 NEME DI MELA
frutto meloso ET
SOSTANZA GUSTO STRUTTURA
In Et vi è un livello di riconoscimento dei riconoscitori costituito da memorizzatori, riconoscitori e interagenti.
Neme è definito da Marvin Minsky in The Society of Mind come Agente la cui uscita rappresenta un frammento di idea o di stato mentale.
Il “contesto” entro il quale agisce un agente tipico è in ampia misura determinato dalla attività dei nemi che lo raggiungono.
Precisa Minsky nell’articolo Plain Talk Abaut Neurodevelopmental Epistemology, in Proceedings of the Fifth International Joint Conference on Artificial Intelligence, ho chiamato i nemi “linee C” ; la definizione si basa anche sull’idea di “microcaratteristica” formulata da D.L.Waltz e J. Pollack in Massively Parallel Parsing, in Cognitive Science.
Lezione N°3 e N°4 3/maggio 2006
Uno che farà il vostro mestiere deve essere in grado di conoscere le tecniche di una campagna pubblicitaria anche mediante lo studio dei componenti percettivi di una immagine. Si tratta di unire semplicità chiarezza e ordine nella organizzazione e presentazione dell’informazione; questo facilita notevolmente il momento della decodifica da parte degli utenti.
Esaminiamo in una visione rapida e utile il processo di formazione del sistema percettivo visivo per porre le basi alla comprensione della trasformazione dell’immagine in rappresentazione e progetto. Si tratta di una operazione di complessificazioni nelle quali gioca un ruolo importante l’organizzazione strutturale delle vie percettive visive. In questo senso è opportuno come sopra detto avere delle idee sul percorso neurobiologico che attraverso le evoluzioni strutturali portano da cellule capaci di reagire alla luce sparse sulla pelle dell’ombrico alle strutture anatomiche e funzionali delle quali oggi disponiamo, frutto di un percorso che attraversa qualche milione di anni.
Lo sviluppo degli occhi è stato motivo di una critica alla teoria prospettata da Darwin perché se l’evoluzione è il frutto della selezione naturale ci si è chiesto a che cosa poteva servire strutturare lenti capaci di formare le immagini se non esisteva uno sviluppo del sistema nervoso capace di interpretarle. E’ il grande dilemma che riguarda la visione perché gli abbozzi dell’occhio nel processo dell’evoluzione proponevano un piano direttivo teso a formare strutture inizialmente inutili che avrebbero potuto assumere successivamente un significato funzionale. Ma questo non regge. E’ un quesito al quale è veramente difficile fornire una risposta. Mentre è palese la spiegazione quando si fa riferimento all’aspetto ontogenetico al quale arriveremo. Una interpretazione può essere fornita dalla ipotesi che quelli abbozzi contenessero cellule capaci di reagire alla luce. Nelle forme evolute queste cellule possono essere sparse sulla pelle (lombrico) o possono raggrupparsi nascondendosi sotto una piega cutanea o in una depressione della superficie corporea. E’ possibile pensare che attraverso complessi processi di adattamento si siano formate strutture che divenivano capaci di percepire la luce. Si deve fare riferimento ai trilobiti che ci mostrano il più antico occhio fossile che noi possiamo studiare. E’ una struttura costituita da centinaia di faccette che sono altrettante lenti corneali. E’ una condizione analoga a quella di alcuni insetti moderni. Va precisato però che vi sono perfino esseri unicellulari che reagiscono alla luce. Dunque ritenendo che elementi che oggi chiamiamo fotorecettori si siano indovati in luoghi-recesso per trovare protezione da momenti di luce abbagliante che ostacolavano la visione delle ombre. In fondo parecchi milioni di anni dopo, i primi astronomi facevano profonde buche nel terreno per poter osservare le stelle anche in pieno giorno. Si può ritenere che si formò su strutture di questo tipo una membrana di protezione che nella parte centrale assunse un maggiore spessore diventando una lente. Dunque questa funzione di protezione si trasformò per divenire uno strumento di lettura delle immagini. Noi abbiamo ai nostri giorni un abbozzo di un occhio primitivo come quello descritto in un mollusco marino la patella. Un occhio ancora più primitivo perchè ancora senza lente ma con la presenza della membrana che si sta modificando è presente nel mollusco nautilus che è provvisto di un piccolo foro che serve a formare le immagini.
L’occhio dei trilobiti verosimilmente è quello descritto anche se la sua struttura interna non si è ovviamente conservata ma un occhio di questo tipo lo abbiamo negli artropodi, insetti compresi, per esempio le api e le libellule. In questi ogni lente corneale dà una immagine separata a un fotorecettore ma non ci pare ragionevole pensare che questi esseri vedano un mosaico. E’ certo che una struttura di questo genere è particolarmente adatta a percepire il movimento.
Queste considerazioni sono basali per capire il rapporto esistente tra le strutture periferiche della percezione e le strutture interne che oggi chiamiamo sistema nervoso centrale.
E’ da qui che partiamo per descrivere oggi la struttura di base della relazione tra occhio e cervello che successivamente esamineremo altri segmenti processuali integrati per sapere cosa vediamo e perché vediamo. Dopo questo viaggio conoscitivo si studieranno le dinamiche e le leggi della psicologia della forma.
Così come abbiamo esaminato i processi della percezione visiva per arrivare a indagare sulle strategie iconico-verbali che sono un elemento strutturante un segmento fondamentale del lavoro che il pubblicitario svolge quando studia consumi e le dinamiche che sottendono il processo della pubblicità è utile prendere in esame il significato del simbolo nella genesi della percezione del sé. Lo facciamo con 14 punti che sono sintesi e stimolo per lo studio analitico che consente di rappresentare la immagine e la identità dell’azienda. In questo senso rappresentare e ricordare come immagine l’azienda vuol dire avere coscienza dei suoi assetti strutturali e delle implicazioni che coniugano aspetti denotativi a aspetti connotativi (ricordando che questi ultimi esprimono un significato non unico aperto a sensi figurali diversi.
1 Si ritiene sulla base di fondate osservazioni che la stazione eretta quando diviene una caratteristica di esseri che appunto classifichiamo come antropoidi sia stata la premessa del divenire umano. Grazie alla liberazione degli arti anteriori dalle funzioni legate alla locomozione consentendo la manipolazione delle cose. Nel paleolitico l’uso delle mani consente l’invenzione dei primi strumenti di pietra. Ed è proprio questo uso che ha incrementato funzioni e sviluppo del cervello anteriore Il passaggio dalla preistoria dell’uomo, erectus e habilis che permetteva una comunicazione interumana certamente complessa perché con ogni verosimiglianza costituita da suoni verbali e gesti.
2 Da questo livello il passaggio alla creazione delle prime abitazioni, all’uso del fuoco alla prassi della caccia sviluppa nell’uomo la simbolizzazione del mondo. Questa simbolizzazione è dal punto di vista evolutivo più importante della manipolazione concreta delle cose perché esse possono venire raffigurate.
3 L’uso degli strumenti ha consentito all’uomo di scoprire la possibilità di raffigurare e non solo di manipolare le cose ma con ragionevolezza la raffigurazione di sé stesso e degli animali così come degli oggetti consente di iniziare alcuni processi elementari di categorizzazione. L’uomo di Cromagnon incide sulla roccia e colora raffigurazioni animali.
4 Mentre si sviluppa la raffigurazione visiva sta rappresentandosi mediante suoni gutturali che non sfociano ancora nei nomi delle cose la raffigurazione verbale.
5 Così la visione e i suoni pongono l’uomo in una simmetria figurativa ed espressiva con il mondo.
6 Gaetano Benedetti rappresenta questa fase racchiudendola nella espressione “sembra che tale esperienza abbia moltiplicato il senso umano del potere già fondato dalla manipolazione delle cose”.
7 A questo punto l’utilità non era più costituita dal godimento della cosa costruita o predata ma strutturata e fruita dall’esperienza “mentale” di poter influenzare e “agire” sulle cose rappresentandone la figura.
8 Dunque all’origine il simbolo era legato alla identità magica della figura creata dall’uomo con la figura dell’oggetto osservato e in tal modo posseduto dall’intelletto rappresentativo. Va precisato che l’identità magica è termine impiegato per indicare la consapevolezza che fra la figura simbolica e quella obbiettiva esiste un nesso “misterioso di potere”.
9 Ci serve un esempio per capire ciò: l’antico egizio non era tanto ingenuo da ritenere che la sua “barca del sole” costruita e sotterrata per condurre l’anima del defunto nell’aldilà potesse navigare nel Nilo; era però certo che quella figura “assicurasse la realtà del viaggio”.
10 Lo stesso egizio non pensava che i cibi offerti per garantire la vita postmortale sarebbero stati usati dalla mummia tanto è vero che essi vengono raffigurati nella lapide.
11 Ecco il legame “misterioso” che trasforma la figura nell’anima stessa della cosa: il protosimbolo (Werner e Kaplan 1984), una capacità tutta umana di forgiare il mondo intero a propria immagine e somiglianza.
12 E’ la prima “indiazione” dell’uomo l’avvento dello spirito nel simbolo, la nascita dell’Homo Simbolicus che molti antropologi considerano prerogativa essenziale dell’uomo.
13 Così il simbolo trasforma il percorso evolutivo “dell’animale” in una forma storica di esistenza quella appunto umana.
14 La capacità di creare immagini (visive, acustiche, tattili, olfattive), delle cose-immagini che ripetono le percezioni e ne permettono la sopravvivenza nella mente consentono l’inizio della “costanza spazio-temporale degli oggetti”. E questo è il vero inizio della vita psichica.
Lezione N°5 e N°6 9/maggio 2006
Nel film “L’oro di Napoli” che De Sica trasse dal libro di Marotta si palesava uno straordinario Totò che girava i quartieri per reclamizzare (vedete che termine si può usare) l’apertura di un negozio o l’arrivo di una novità commerciale. Dopo qualche anno invece arriva l’annuncio di una colonia “per l’uomo che non ha bisogno di chiedere. Mai!”. Come vedete si evidenzia il passaggio dalla indicazione dalla via del negozio nel quale le cose che si magnificavano erano oggettivamente una denotazione. Dove l’argomento “retorico” non si discostava dalportafoglio che “non ve lo do per 30, né per 20, né per….”, con uno scivolamento in una dimensione verbale di tipo connotativo che consente cioè di incentrare sull’oggetto, e magari su un sentimento, una serie di significati che possiamo semplificare con la serie Barilla, della Young e Rubicam, che presenta una bambina che infila un fusillo nella tasca del padre che partirà in aereo, o altri episodi che riguardano conviviali adulti, magari con qualche battuta goliardica, per arrivare a “dove c’è Barilla c’è casa”.
Si farà una “esercitazione” che fruendo dello straordinario testo di Gianluigi Falabrino “A dir le mie virtù” 100 anni di slogan pubblicitari, evidenzierà scivolamenti di significato con l’impiego di elementi sempre più di tipo connotativo così l’attenzione si incentra su un fiore per arrivare al commento (e siamo alla strategia iconico verbale) “se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto c’è Impulse”. Naturalmente quando si adoperano figure c’è da parlare dei punti di interesse oltre che da rispettare un criterio di bilanciamento, proporzione, sequenzialità, unità, enfasi. La lavagna sostituirà (o ha sostituito) nel corso delle lezioni i primi quattro aspetti sopra indicati tramite esempi e rappresentazioni grafiche. Poiché però l’enfasi che si è posta a chiusura della serie non è soltanto un elemento grafico, c’è da ricordare che in una struttura pubblicitaria il soggetto principale deve sopravanzare su tutti gli altri componenti immessi. Dati sperimentali hanno mostrato infatti che quando questa prevalenza non ci sia per la pluralità di soggetti principali in più ricerche si è visto che l’esito è confusione o addirittura una risposta nel fruitore caratterizzata da instabilità e nervosismo. Sono sempre dati sperimentali a mostrare che le rappresentazioni organizzate, o che sono strutturate in maniera da consentire una potenziale organizzazione, dai fruitori sono capite e mantenute in memoria meglio magari delle stesse componenti quando sono rappresentate in maniera disorganizzata. Il processo della comprensione recupera i dati informativi e organizza building blocks in sostanza segmenti di processo che attivano e strutturano la cognizione. In questo senso si possono commettere degli errori ottenendo una cattiva decodifica e una scadente comprensione, che si sviluppano non nella direzione prevista dal messaggio o in quella studiata nel briefing. Si usano le leggi della Gestalt per mostrare come nelle comunicazioni visive le superfici, alcune caratterizzazioni, il loro insieme, entrano in un processo di trattamento immagine-figura secondo regole che sono quelle che governano la relazione immagine-sfondo.
Per studiare il testo pubblicitario è opportuno che si inizi dalla organizzazione di un codicecostruttivo che utilizza livelli ai quali nel corso delle lezioni precedenti si è fatto riferimento ma che qui, nello spirito delle sintesi-stimolo che sono alla base di questi appunti, si può riassumere così: descrizione, referenza, interpretazione.
Il primo termine fa riferimento alla composizione del visual degli elementi che lo formano, delle modalità strutturali impiegate, delle intenzioni e suggestioni espresse dall’immagine; il secondo constata la presenza o l’assenza di una scena all’interno del testo, e nell’eventuale sottotesto, per capire che il rapporto si stabilisce con verosimiglianza nella mente del fruitore (sempre attenendosi a dati sperimentali o magari allestendo esperienze), tra scene e prodotto, tra scena e target, tra prodotto e target. Il livello interpretativo coniuga l’analisi della rappresentazione agli aspetti tematici che si propongono e a quelli astratti connessi o connettibili. A questo punto il messaggio oltre alla descrizione utilizza e propone modelli ideologici e culturali. Ancora una volta nel corso della lezione la lavagna permette di rappresentare come una unità all’interno di un contesto rappresenti un discorso assegnandogli una significazione. Si deve poi usare la nozione di isotopia mediante l’analogo nel campo dell’intelligenza artificiale costituito dal frame . E’ un processo di riduzione della necessità del principio della deduzione che evidenzia come alcuni sistemi di conoscenza non hanno bisogno di ricorrere a principi basali generali perché derivano alcune conoscenze dallaplausibilità . Questo comporta uno studio della composizione e impaginazione, del rapporto tra punto di vista e colore, della tipologia e della direzione della luce.
E ognuno di questi elementi deve essere analiticamente preso in considerazione prima di completare il progetto pubblicitario. E’ un errore dimenticare ogni componente e qualche volta l’errore è soltanto frutto di una dimenticanza, di una trascuratezza; la incompetenza è meno spesso di quanto si ritiene la causa di un cattivo risultato: “bisognava riflettere un po’ di più”.
Lezione N°7 e N°8 10/maggio 2006
La basale considerazione di carattere generale, ancor prima della storia della definizione e della genesi, è quella che riconosce il marchio come progetto grafico e comunicazione visiva molto più che un elemento di informazione legato alla unicità di un richiamo visivo. Il marchio infatti si costituisce come immagine ed esprime sotto più aspetti e in più direzioni le strategie di marketing di una impresa. E’ utile usare il concetto di dilatazione semantica per riferirsi alle associazioni e connessioni che all’interno e all’esterno si strutturano e collegano. Si tratta in fondo di allestire un panorama-progetto che utilizza processi di integrazione con altri elementi di riferimento che ne rafforzano la espressione e il significato. E’ classico fare riferimento con la utilizzazione de Il pensiero visivo ad Arnheim che facendo l’esempio del marchio dell’International Wool Secretariat parla di “eleganza deliberata” che si contrappone alla connotazione di pesanti tweed ma non è specifico della lana; la semplicità del disegno fa riferimento alle proprietà essenziali e desiderabili in modo tangibile e concreto.
In definitiva il marchio è una sorta di minimo comune denominatore fra parola, immagine, scrittura. Da questa prima considerazione si può passare ai rapporti tra lingua e scrittura come ricavabili da de Saussure che nel corso di “Linguistica generale” ricorda che si tratta di due distinti sistemi di segni postulando che la scrittura è essenzialmente la rappresentazione della lingua parlata. L’antropologia percorrendo il processo delle motivazioni a scrivere e delle espressioni pratiche che ne derivano, sviluppa i processi iconici e di simbolizzazione. Ave Appiano precisa a questo punto con una lucida e corretta analisi che si sta a metà strada fra parola e disegno, alla frontiera fra segno e simbolo e che si vanno strutturando iscrizioni e rappresentazioni che costituiscono la espressione della necessità umana di uscire dall’individuale per raggiungere l’universale, “il bisogno di portare il macrocosmo nel microcosmo”. Ricorda ancora che il bisogno dell’uomo di incidere sulla corteccia di un albero o di graffiare sigle e motti su una parete, di scrivere sulla sabbia o su una pietra, suggellare un attimo un ricordo in un luogo, sono la evidente persistenza di un bisogno che è presente nel comportamento umano. Si tratta ancora di una comunicazione che si attua per la sua futuribilità. Insomma ancora oggi le espressioni moderne utilizzano le psicodinamiche che hanno fatto usare in tante epoche l’uso della bottiglia in mare. Il riferimento a quarantamila anni fa di segni e simboli preistorici deve essere però spostato a circa seimila anni per arrivare ad una grammatica pittografica costituita da elementi identificabili che utilizzano un linguaggio denotativo che evolverà in ideogrammi con l’uso di segni che rappresentano concetti e/o intenzioni.
Nel packaging l’immagine e la parola si confrontano e si completano con una rappresentazione costitutiva che deve prefigurare e utilizzare l’esito di un effetto visivo determinato dal confezionamento. Così la struttura deve esprimere criteri di cognizione e di funzionalità che attraverso iconografia, grafica, colore, determina l’acquisto anche con l’esplicito riferimento al piacere della utilizzazione. Naturalmente c’è da fare riferimento alla utilizzazione di una notevole quantità di aspetti tecnici che condizionano ad esempio le dimensioni alla natura dell’oggetto e alla struttura dell’assemblaggio. Ma il problema fondamentale rimane quello di una analisi del rapporto fra contenente e contenuto. Certo la soluzione è quella di stabilire un rapporto tanto pregnante da implicare costantemente la congiunzione delle rappresentazioni mentali dei due aspetti. In questo contesto il contenitore diviene un legame tra forma e immagine che struttura la essenzialità per una buona comunicazione complessiva. Esprime peraltro una immediatezza che deve o dovrebbe rappresentarsi in una maniera più esplicita di ogni singolo elemento di riferimento. In sostanza presenta e rappresenta il prodotto nella migliore espressione possibile con una dinamica comunicativa che oltre che informare sulle caratteristiche comunica sensazioni di piacevolezza e di comprensibile ordine. E’ opportuno ricordare che in “Arte come mestiere” Munari fa un riferimento alla semplicità e perfezione con la quale la natura confeziona i suoi prodotti con specifico riferimento alla efficacia visiva che consente di distinguerli l’uno dall’altro. La natura in sostanza suggerisce e utilizza anche aspetti di protezione fornendo mirabili esempi (buccia, corteccia). Insomma l’architettura naturale diventa un modello al quale ci si può rifare anche quando si parla in termini attuali di packaging. Non può mancare il riferimento a qualche errore che si propone almeno alla vostra riflessione di futuri tecnici. Si tratta di riscontri che si incontrano semplicemente attuando un giro di curiosità attiva in un grande supermercato. Incontrerete confezioni che è difficile richiudere, che non si aprono bene, che disperdono il contenuto quando vengono poste in condizioni di essere usate. E’ essenziale poi che forma, disegno, colore, materiale, testo siano singolarmente valutati per allestire la attuazione di un processo di complessificazione che va strutturato prima di farlo diventare oggetto.
Lezione N°9 e N°10 16/maggio 2006
Una condizione preliminare per la analisi della identità visiva dell’azienda pone l’interrogazione sul significato della rappresentazione rispondendo ad una domanda basale: l’immagine deve essere di stimolo per aspetti che denotano l’azienda o per aspetti che la connotano oppure per una risoluzione coordinata che tocchi tutti e due i versanti. L’immagine dovrebbe riguardare poiché è “un discorso su …” una preliminare e basale comprensione che distingue, connota e studia strutture del discorso e strutture del desiderio. In sostanza la identità visiva può usare, comparativamente all’arte retorica linguistica, espressioni e finalità persuasive, (il discorso insomma) può anche però puntare su aspetti di segni e di simboli rivolti alla attivazione di motivazioni che si rifanno al desiderio. Per dirla in termini elementari si tratta di rispondere al quesito esiste prima il desiderio o l’oggetto del desiderio? In sostanza il desiderio è un sentimento, una condizione psichica che rappresenta e sostiene un bisogno ineliminabile, oppure esso comincia a nascere sulla base della conoscenza e del vissuto di qualche realtà? Restando alla interpretazione psicologica il desiderio è svolto nel contesto di correlati semantici che riportano ad un desiderio di piacere e di futuribilità che si può tradurre nella espressione di ricerca di godimento. Certo a Freud c’è da contrapporre una idea di Kierkegaard che afferma “solo quando compare l’oggetto compare il desiderio, solo quando compare il desiderio compare l’oggetto, desiderio e oggetto sono due gemelli nessuno dei quali viene al mondo nemmeno una frazione di secondo prima dell’altro”. Si può aggiungere a questo punto, da un certo punto di vista esemplificando, che attualmente si è soliti constatare che l’oggetto suscita il desiderio e il desiderio determina al possesso, dunque alla consumazione. In termini “tecnici” si può dire che l’immagine aziendale si congloba nel concetto di corporate image che deve esprimere la complessa struttura di correlazioni fra elementi grafici, colore, assetto formale, nel contesto di effetti espressivi per comunicare una idea complessiva che rimandi all’azienda. Il secondo elemento delle immagini coordinate dell’identità visiva è costituito da brand image che deve utilizzare il concetto di marca come somma di tutti i fattori che ne strutturano le caratteristiche utilizzando aspetti verificabili come prezzo, distribuzione e servizio e aspetti che si legano a considerazioni di tipo personale come frutto delle esperienze di ognuno sulla base anche fornita dagli elementi che hanno correlato aspetti pubblicitari e aspetti qualitativi. L’immagine in sostanza deve anche essere il risultato di rappresentazioni e contenuti che correlano coesione e coerenza rappresentando, anche con il preliminare sostegno di campagne istituzionali, una visual identity.
Lo studio e la progettazione del design aziendale deve essere sviluppato anche considerando aspetti ambientali e sociologici poiché comunicazione e immagine non sono un pallone sospeso in aria ma si innestano in specifici tessuti sociali con certi criteri di economia urbanistica (centro, periferia, dimensioni cittadine). Si tratta in sostanza di considerare che vi è un valore estetico e comunicativo incluso nella programmazione del design aziendale. L’immagine deve rappresentare un processo identificativo che racconta la storia, la condizione attuale, le capacità di prospettazione futura, se possibile con la attuazione di dinamiche interattive promosse da qualche elemento di partecipazione (vendite speciali, premi, dinamiche identificative). In sostanza si deve considerare la rappresentazione dell’azienda come una forma di individuazione, di fatto culturale che prospetta incidenze anche sulle realtà sociali con le quali viene a contatto. Quello indicato qui come ruolo culturale va precisato che fa riferimento ad una costruzione strutturale estesissima che va dalla elicitazione, identificazione, qualità, fino ad arrivare a modalità finali di preparazione e di presentazione. Una tale immagine deve per quanto è possibile e per quanto è comunicabile rappresentare una sintesi che dovrebbe produrre una evoluzione dei destinatari in fruitori che possono soddisfare le proprie richieste. Elemento importante dal punto di vista della struttura interna aziendale è costituito dalla percezione che in una dinamica come quella descritta si stiano realizzando anche le aspettative e il prestigio professionale degli operatori.
Lezione N°11 e N°12 17/maggio 2006
Il processo di comunicazione pone problemi sul piano individuale e collettivo divenendo il centro catalizzatore di numerose scienze e attività umane. Dalla cibernetica alla psicologia, dalla semiotica alla linguistica, dai nuovi strumenti di comunicazione alla straordinaria diffusione di essi, per ognuno dei fruitori e per tutti. La complessità del comunicare ha fatto uso multi- e inter-disciplinare di svariati campi della conoscenza sia teorica che pragmatica. In questo contesto la scienza linguistica pur avendo studiato a fondo il processo del comunicare nella sua struttura formale, ha trovato la difficoltà di esaminare i modelli integrati di analisi del discorso comunicativo in una maniera adeguata alla irruzione delle nuove modalità e delle nuove tecnologie per fare comunicazione. Nel contesto di un corso come quello al quale stiamo lavorando si tratta di fornire un quadro articolato e aggiornato di teorizzazione che dalla linguistica formale si estenda alla possibilità delle pratiche applicazioni. Per attuare dopo averli ricercati i criteri linguistici che possano adattarsi ai contesti comunicativi della condizione attuale. Di fatto in 32 università, piani di insegnamento e corsi di laurea, agiscono nel settore dell’educazione e della conoscenza per trovare più idonei linguaggi adatti alle forme basilari della scambio sociale, come le attuali condizioni politiche e economiche lo strutturano. In fondo le prime forme di pubblicità nascono dall’esperienza prescientifica poichè il linguaggio e la rappresentazione costituiscono il presupposto in virtù del quale gli uomini instaurano un contatto comunicativo fondato sulla reciprocità.
La esperienza ha insegnato che il linguaggio è collegato all’ambiente in cui l’uomo vive e che dunque rappresenta una condizione basale, essenziale e necessaria, per una consapevole appropriazione del mondo da parte dell’uomo. Si configurano in sostanza due funzioni della rappresentazione e del linguaggio che sono da un certo punto di vista sempre coniugate perché la comunicazione si riferisce sempre al mondo così come una appropriazione cosciente del mondo non può avvenire solo privatamente ma sempre dentro i canali della comunicazione. Sappiamo però che i modelli di rappresentazione e comunicazione non sempre riescono ad evitare disturbi e distorsioni, guadagni e perdite. Questo porta alla cruciale domanda sulla origine delle cause che generano disturbi di comunicazione e sulle dinamiche che possono eliminarli, evitarli o ridurne gli effetti. Cominciamo però a fornire indicazioni sulle regole che gli errori tendono ad evitarli, ricordando che il pubblicitario ricerca un contatto con i suoi interlocutori, ma anche un rapporto con la generalità, e che usa regole che non sono possedute solo dai suoi interlocutori preferiti. Esaminiamole in sequenza:
a)regole lessicali, come inventario di combinazioni foniche, grafiche, dotate di senso che possono venire adoperate in funzione comunicativa; b) regole sintattiche, per le quali gli elementi vengono ordinati in espressioni concrete, il che vuol dire che vengono stabiliti rapporti che prefigurano significati; c) regole di riferimento nelle quali si stabilisce un rapporto fra una parte e il contesto; d) regole ortografiche, che raggruppano e analizzano le componenti scritte delle unità linguistiche; e) regole di comunicazione, che governano e controllano l’uso delle regole precedenti. Per capire quest’ultimo aspetto dell’uso delle regole di comunicazione si può fare un esempio in ambito lessicale mostrando le intenzioni che sottendono il termine libertà: “la libertà della persona è inviolabile” configura una diversamaniera nella frase del motto pubblicitario “whisky e libertà sono inseparabili”; la regola di comunicazione ha coordinato libertà a diverse situazioni.
Qualche nota meritano gli effetti retorici che solitamente vengono coniugati alla pratica pubblicitaria. La maniera più semplice fa riferimento a nozioni che tutti i partecipanti a questo corso hanno tratto da altre discipline. Si fa riferimento alle figure morfologiche, sintattiche, semantiche,. Se ne fa un brevissimo riassunto mnemonico esemplificando: le figure morfologiche con due esempi apocope (ad esempio velo per velocipede), paronomasia(amore-amaro, suono simile ma significato diverso); sintattiche ricordando pleonasmo (“a me mi piace”) e le semantiche con epifonema (chiusura enfatica “ecco dove porta il vizio!”), litote(attenuazione di un concetto mediante la negazione del suo contrario “Don Abbondio non era nato con un cuor di leone”), antifrasi (“come sei gentile “ per dire esattamente il suo contrario).
La comunicazione non si limita a trasmettere rappresentazioni, a ben guardare essa attua sempre delle intenzioni. Ma intenzioni e rappresentazioni quando si attuano sono sempre condizionate dal linguaggio con cui l’operatore comunica. Una analisi critica del processo psicodinamico della comunicazione deve rivalutare come l’immagine è un complesso di azioni ed effetti che rispecchiano identità, opinioni, valutazioni che mutano secondo dinamiche che debbono interpretare, razionalizzare, organizzare la struttura e la intenzione che si vuole comunicare. Occorre dunque tendere alla attuazione di un sistema che non può essere statico, chiuso, introverso, ma che deve predisporsi alle modificazioni che possono, devono, in ogni momento essere in grado di trasformarlo in aperto, estroverso, ottimizzato. Il centro della analisi delle dinamiche comunicative resta in ogni caso l’oggetto pubblicitario. E’ superfluo ricordare che parlando della nostra società siamo soliti definirla società dei consumi ma al disopra e al disotto della definizione essa è una gigantesca macchina che produce e divora oggetti. R. Grillet ha correntemente affermato che quando ci troviamo di fronte a questo enorme numero di oggetti si realizza la impossibilità di rimanere spettatore inerte, “gli oggetti parlano per noi e parlano di noi, inutile rimanerne fuori”. E’ per questo che la pubblicità allestisce immagini-oggetto (l’ippopotamo di Lines, il Caballero e la Carmencita di un famoso caffè, Calimero per il bucato Ava). In conclusione l’immagine come strumento retorico iconico fornisce una notevole possibilità di impatto e di persuasione nella comunicazione visiva, utilizzando le figure della retorica classica per determinare nella mente dell’osservatore associazioni coinvolgenti efficaci destinate al rafforzamento dell’uso del prodotto per indurre, ma sarà l’oggetto di una futura lezione, all’acquisto.
Lezione N°13 e N°14 23/maggio 2006
Il linguaggio della pubblicità usa e combina vari linguaggi settoriali utilizzando segni costituenti di vari codici, naviga attraverso vie che aggirano l’immagine aziendale, di marca, di prodotto, sviluppando e attivando dinamiche di decodificazione. E’ abbastanza scontato che l’immagine deve essere tale da impregnarsi di sensi figurali che debbono esprimere molto in spazi ridotti, facendo nascere emozioni, sentimenti, sensazioni, riconoscimento dell’identità. Per ottenere ciò, le regole che si impiegano sono le medesime che “colorano” il linguaggio corrente, con i consueti elementi di retorica che rimandano a situazioni collegate.
Questo tipo di comunicazione utilizza il registro iconico e il registro verbale. Dunque la immagine e le parole vanno a costruire un senso che nel suo insieme orienta il messaggio e la sua comprensione (interessante questa corrispondenza biunivoca) verso una “interpretazione progettata”. Sono vari i modi di combinare i due registri e si constatano analiticamente prevalenze figurative o dinamiche interpretative più legate alla semiotica del linguaggio.
Va precisato che il testo verbale è caratterizzato da una procedura lineare che affronta, per non creare confusioni, una sola situazione, mentre il testo iconico utilizza una logica connessionistica nel senso che gli elementi che lo costituiscono vengono mostrati insieme in una strategia di utilizzazione iconico-verbale si punta sulla inter-azione per cui si tende ad attribuire un maggiore significato della comunicazione, mediante la chiarezza del significato verbale e la suggestione legata alla modalità di rappresentazione dell’immagine.
Ormai un testo pubblicitario “informatico”, così come un manifesto, sono strutturati secondo la efficacia legata ai procedimenti e alle strategie speciali delle due modalità iconica e verbale. Modificazioni di interesse si sono verificate negli ultimi anni evidenziando un uso della iconicità, prevalente rispetto alle risoluzioni verbali. Ne è nata una interessante analisi tendente a strutturare una semantica dell’iconogramma, sulla quale si sono venute formulando teorie generali tratte dalla linguistica, inerenti a una specifica retorica visiva. Il senso figurale iconico sta però facendo recuperare valore a sviluppi extralinguistici che possono essere connessi con colori, rumori, immagini e suoni diventando codici analogici per la natura analogica con processi di identificazione di immagine e oggetto, di rappresentazione e possibili realtà. Una interessante opinione sulla immagine pubblicitaria ci viene da Barthes che sostiene che in sostanza essa propone una rappresentazione nella quale si rintracciano elementi significativi che provengono dal racconto, dalla pittura, dal sogno e che queste figure si organizzano in miti culturali riconducibili a una natura ideologica. Dunque Barthes sostiene che questi messaggi contengono meccanismi letterali e culturali, così come ideologici e etici, che agiscono costituendo la forza di una immagine di massa che assume un valore decisivo proprio per questa natura nella comunicazione individuale e/o sociale. Venendo ad aspetti pratici, i caratteri grafici, gli emblemi, i marchi, “garantiscono” e aggiungono al nome un ulteriore significato. La targhetta, l’insegna, il marchio di fabbrica, le parole usate, configurano una complessificazione che supera la dimensione linguistica nel senso che si va ad agire in un ambito che si può definire extra-linguistico.
La lingua della pubblicità è fortemente caratterizzata da un processo di rappresentazione, di iconicizzazione, che arriva attraverso le strategie che si sono definite, a una immagine che diventa trasmissione e attivazione di un processo che conclude una corrispondenza tra oggetto e marchio. Si realizzano così gli elementi operativi, attuativi, che fanno aderire il messaggio al desiderio del possesso e dell’uso dell’oggetto. Si tratta in sostanza di mettere in atto un richiamo affettivo che stabilisce un legame fra il prodotto e il destinatario del messaggio realizzando dinamiche di visualizzazione che utilizzano nome, figura, etichetta, coniugandoli a costituire un conglomerato sintattico che tramite lo stimolo pubblicitario configura una ragionevole modalità di legame con gli occhi e con la mente del consumatore. L’immagine (per usare una espressione semplificata di complessificati processi di elaborazione) deve diventare un progetto che costituisca un plus di valore che vince l’inerzia e determina attraverso dinamiche simboliche, psicologiche e culturali un contesto di ricezione che, con la decodificazione del messaggio, determini la essenzialità del possesso e dell’uso. Si tratta in conclusione di impiegare le regole, i modi, i mezzi della “strategia della comunicazione dell’immagine” per fare emergere il profilo di una identità socio-culturale e etica che si realizza tramite la interazione-integrazione tra il messaggio e il consumatore.
Lezione N°15 e N°16 24/maggio 2006
Il progetto di comunicare propone la considerazione del modo di porsi in termini attuativi della comunicazione tra informazione e allusione. Il supporto cognitivo della grammatica generativo-trasformazionale alle strutture semantiche non genera al momento in maniera compiuta un completo programma teorico della competenza comunicativa. Sembra non bastare infatti quando ci si pone nell’atto di comunicare la utilizzazione concettuale della semantica, della sintassi, della pragmatica perché si evidenzia una sorta di trascuratezza della dicotomia che Saussure ha posto fra langue e parole e Chomsky considera secondo il punto di vista della competenza e della esecuzione.
Nel contesto del corso il gradiente sintattico che include morfologia e fonologia è di interesse basale rispetto all’ introduzione e all’uso della semantica”. Assume valore determinante anche per specifici assetti semantici nell’ambito delle categorie oggetto, situazione, processo, evento. E’ opportuno insistere sulla pragmatica nel senso di una teoria della competenza comunicativa che Habermas ha indicato come “universale”. Si apprezza in tale contesto la definizione del concetto di competenza che consiste però secondo Chomsky in un significato più strettamente linguistico. In questo ambito dunque la comunicazione riguarda la sfera degliuniversali pragmatici.
Sono inoltre da considerare nell’uso della competenza di comunicazione gli aspettiinformativo e allusivo. Della comunicazione-informazione si è fatto un esame abbastanza rapido, indicativo ma puntuale, per la allusione è comodo rifarsi al senso di due termini di riferimento, reference e hint correntemente usati nella letteratura internazionale sull’argomento. Sia con il primo, relazione, riferimento, rapporto, consultazione, raccomandazione, che con il secondo, accenno, avviso, si esprime sostanzialmente la relativa ambiguità del termine allusione che può essere preso come una indicazione di attenzione, di riferimento e perfino di evitamento.
Nella comunicazione la “materia del pensiero” assume varie forme e quando quella impiegata è la forma linguistica, per cui il pensiero rassomiglia al parlare corrente, i riferimenti che vengono fatti hanno come oggetto parole, frasi o immagini che si coniugano con riferimenti specifici. Si apprezza così una “fase” nella quale il legame tra la traduzione in parole o in immagini dell’oggetto che si comunica, sono quasi coincidenti. In sostanza la comunicazione può assumere un aspetto che inizialmente si può chiamare “semplice” perché è semplice il quesito che si pone. Come nel caso “Il pettirosso è un uccello?” Complessità diversa è quella che si richiede per scegliere da un reseau simbolico di parole di riferimento quella che meglio esprime la cosa, il concetto, la situazione, il punto di vista che si vuole comunicare. Se chiamiamo i “riferimenti molteplici” implicati nel secondo caso funzione connotativa dobbiamo però riscontrare un criterio unificante costituito dall’elemento della sequenzialità. Perché anche nel contesto di un confronto che si rifà a definizioni verbali uniche e conclusive, si utilizza sempre una struttura di pensiero che è difficile rappresentarsi come semplice e lineare. Tutto ciò rimanda al fatto che il pensiero, in parole o in immagini, tende a essere concreto ma l’esperienza umana mostra che gran parte della nostra conoscenza si fonda su articolazioni complessificate. Si ha una buona conoscenza della grammatica della propria lingua, e questo vuol dire che ognuno sa come si parla, ma questo “avviene” mentre ignoriamo le regole che si stanno usando. Dunque la conoscenza e l’attività mentale possono talora svilupparsi al di fuori della portata della coscienza e questo fenomeno viene definito da Anderson “forma preposizionale”. Una proposizione è un tipo di rappresentazione mentale che non è risoltasolo con le parole o con le immagini, ma è la attuazione di un “linguaggio del pensiero”. In sostanza si fanno solitamente distinzioni teoriche applicative tra funzione denotativa e funzione connotativa ma una analisi accurata tende a ricomporle proprio per le differenze importanti e fondamentali esistenti che le pone nel contesto di criteri generali della comunicazione che sono sempre la base su cui fondare un progetto.
Lezione N°17 e N°18 30/maggio 2006
Tra i compiti che vi capiterà di svolgere (molteplici, non facili, necessitanti di strumenti di navigazione certi) sarà opportuno e necessario avere idee chiare sulla distinzione tra figure sintattiche e figure semantiche. E’ preliminare il riesame delle conoscenze acquisite sulconcetto di segno. Che non va concepito come una identificazione con l’oggetto (automobile, prodotto, piscina, casa, tanto per fare esempi) perché esso è soprattutto un concetto relazionale perché quando lo definiamo stiamo necessariamente considerando dei rapporti, delle relazioni strutturali e/o funzionali, un contesto insomma. Un tale procedimento implica fare riferimento ad alcune condizioni che debbono essere soddisfatte per poterlo valutare secondo determinate configurazioni che sottendono alcune premesse di attuazione. Una prima condizione è costituita dalla replica segnica che implica che in tutte le riproduzioni del segno debbono essere conservate alcune invariabili. Un’altra condizione essenziale è che una replica segnica deve indicare o rappresentare qualcosa dunque fare riferimento ad una operazione precisa. Come si vede una configurazione di segno non è un fenomeno autonomo, non è dunque trasferibile a qualsiasi situazione slegata dalla precisa funzione dentro la quale si agisce. Se quella così indicata è una seconda condizione, la terza è rappresentata dalla necessità che il segno sia tale per chiunque, dunque per chi lo fa e per chi lo riceve. Una quarta condizione configura il segno come necessariamente sistematizzato all’interno di una struttura concreta di segni.
Non è soltanto una curiosità ricordare che Bacone riteneva che i segni come repliche si possono realizzare mediante le vie acustica, ottica, tattile, olfattiva. Possiamo aggiungere che la condizione da lui proposta, che detta in termini attuali indica che il medium materiale deve differenziare le configurazioni segniche perché occorre rappresentare diversi significati, necessita di considerare eccezioni per i molti correnti usi linguistici che alterano il principio della distinguibilità di segni diversi e delle loro utilizzazioni. Attualmente si usano forme segniche che indicano significati diversi. Questo capita ad esempio quando distinzioni foniche configurano la condizione di omografia dei segni, quando suoni diversi hanno lo stesso assetto grafico. Una diversa condizione si ha anche quando la sequenza fonica (per esempio in inglese rait può corrispondere tanto a right, giusto, bene, quanto a write , scrivere) determina casi di omofonia di “segni” acustici.
Il segno dunque può trascendere dalla sua funzione indicativa per divenire “significante” e inoltre ha la caratteristica, nelle condizioni sopra elencate, della generalizzazione utile. Così la figura sintattica quando assume la dimensione semantica esprime la condizione descritta da Saussure tra sistema linguistico langue e discorso in atto parole. Nello studio dell’analogia tra teoria dell’informazione e concetto di segno si vede come una sintassi delle forme segniche si sviluppi secondo un orientamento teorico probabilistico. Così dalla combinazione di segnali si intravede, e si rappresenta, non soltanto il valore di aspettativa, che è rivestita da una notizia, ma un sintagma che si inserisce in un rapporto paradigmatico con altri segni che possono sostituirlo in un medesimo contesto. Si sviluppano in sostanza rapporti semantici essenziali delle strutture sintagmatico- semantiche che collegano contenuti verbali (capello-biondo; topo-squittisce, cane-abbaia) e dunque i significati lessicale e grammaticale assurgono a funzioni pragmatiche con estensioni semantiche.
In una organizzazione del linguaggio che produce significati, questi si è visto che possono essere “non unici” ed essere aperti a sensi figurali diversi, perché diversi sono i riferimenti, le proprietà e le memorie storiche. La diversità dei sensi figurali che attribuiamo ai segni costituisce la risposta al rischio della staticità del linguaggio ed è conseguente alla dinamicità dell’esistere dell’uomo moderno. La stessa parola scritta o pronunciata indica una persona o una cosa o una attività giorno dopo giorno, ma la cosa indicata può cambiare, crescere, trasformarsi. Può capitare così che si trascuri il fatto che l’ignoranza di queste regole, che sono una peculiarità- specialità di funzionamento del dottor cervello, ci faccia incappare nell’uso di percepire e pensare in termini sostanzialmente unici e denotativi. E’ sensato ricordare al riguardo uno scritto di Eraclito “non è possibile discendere due volte nello stesso fiume”.
L’ultimo riferimento è ai diversi contenuti emozionali e di emozioni in questo corso abbiamo esaminato gli aspetti che partecipano ai processi della cognizione e delle scelte. Se i sistemi viventi sono sistemi che si autoproducono la cognizione chiama in causa costantemente misura e confronto con gli aspetti fenomenologici che la sottendono. Possiamo considerare, sufficientemente dimostrata la necessità autopoietica che oltre a strutturare e organizzare i sistemi viventi propone nuovi criteri di analisi in riferimento alla loro complessità. Si tratti di cellule e di loro aggregati o di società di uomini la dinamica della fondazione biologica della conoscenza, sulla quale si può magari fare obiezioni e perfino dissentire, ci propone l’analisi dei rapporti tra pensiero, percezione, elementi grafici e rappresentazioni costituenti gli elementi sui quali si può costruire una cultura di frontiera. Che articoli scienza, tecnologia e comunicazione definendo linguaggi come struttura essenziale delle possibilità di rappresentazione della condizione e della comunicazione umana. E molti di voi di questi processi saranno gestori nella dimensione della curiosità operativa batesoniana che si interroga sulla natura della struttura che connette, perché sarete parte inclusa e fattori delle strutture che il mestiere e la vita vi proporranno di costruire.
Lezione N°19 e N°20 31/maggio 2006
L’atto di immaginare è una sorta di incantesimo che fa apparire l’oggetto desiderato in modo che sia “avvicinato” tanto quanto basta per poterne prendere possesso. L’immaginario è sempre il prodotto di una operazione imperiosa, e se si vuole infantile, di rifiutare la considerazione della distanza e delle difficoltà. E’ Sartre a ricordare che il bimbo dal suo letto agisce sul mondo per mezzo di ordini, di preghiere, di desideri. A questi stimoli della coscienza gli oggetti obbediscono dunque appaiono. Posseggono però un tipo di esistenza del tutto speciale. Così l’incantesimo tende a ottenerli nella loro interezza e a riproporne l’esistenza integrale. Gli oggetti della nostra coscienza immaginativa sono sagome viste da molti punti di vista contemporaneamente, sono presenzializzati sotto un aspetto totalitario. Non sono oggetti sensibili ma se dobbiamo definirli non riusciamo ad uscire dalla categoria “quasi-sensibili”. Dunque l’immaginario è qualcosa di irreale che mi pare presente mentre resta fuori dalla mia portata. Un esempio classico è quello che fa riferimento allo spazioperché ognuno può constatare che lo spazio dell’immaginario non è quello della percezione. Così abbiamo consapevolezza che lo spazio in immagine ha un carattere molto più qualitativo dell’estensione percettiva perché ogni determinazione spaziale dell’oggetto si presenta come una proprietà assoluta. Ci si può chiedere se la formula esse est percipi continua a funzionare e è ragionevole pensare che dello spazio irreale immaginario la coscienza non si rappresenta espressamente nulla. In questa condizione lo spazio dell’oggetto come del resto il suo colore, la sua forma, è irreale. Una dimensione dell’immaginario la pratichiamo correntemente, “si, mi immagino benissimo come si presenterebbe con indosso un frac…”Certo è possibile pensare così ma è impossibile capire e contenere razionalmente l’effetto frac addosso a colui al quale ci siamo proposti di metterlo.
E’ un problema quello dell’immaginario che proprio nell’esaminarne il procedimento svela la natura del suo bisogno che è in ogni caso fortemente sostenuto dall’esercizio della volontà di immaginare cose anche se c’è la consapevolezza che l’oggetto immaginato “non mi consente di farne quel che voglio”. Nell’oggetto irreale esiste una potenza che è il superamento di una resistenza della realtà che fa essere la coscienza costantemente inserita in contesti di oggetti-fantasmi. Questo permette di sfuggire alle costrizioni del mondo, rappresentandosi come possibile condizione di essere nel mondo come sua antitesi.
E che dire a questo punto del ruolo culturale dell’immaginario? La dimostrazione del ruolo “culturale” è essenziale e fondante del processo evolutivo. L’uomo moderno possiede sostanzialmente lo stesso cervello dell’uomo delle caverne (negli ultimi 30.000 anni non vi sono state modifiche anatomiche in senso di struttura generale ma grandi modificazioni dovute ai “nuovi” processi comunicativi: il linguaggio ha consentito a immaginazione, fantasia e creatività di orientare le spinte istintive creando un ambiente che le contemperasse. La personalità di un individuo è oggi la sovrapposizione dei due tipi di circuito, quello genetico e quello acquisito. La novità nella specie umana è costituita dal fatto che non vi è soltanto un programma in relazione all’ambiente ma anche una capacità di adattamento e di modificazioni con una serie di retroazioni e di integrazioni che producono situazioni sempre nuove e aprono una infinità di combinazioni e ramificazioni possibili. Così il sistema vivente si autoproduce e la cognizione è il processo che caratterizza questa autoproduzione. L’autopoiesicaratterizza l’organizzazione dei sistemi viventi ne interpreta la complessità e organizza concettualmente la fondazione biologica della conoscenza. L’autopoiesi offre un punto di vista nuovo sulla complessità di discipline diverse come la biologia, la psicologia, la sociologia, l’informatica e la teoria delle organizzazioni. L’uomo moderno si trova di fronte al dilemma proposto da Delgado: i dinosauri avevano una forza gigantesca ma un cervello troppo piccolo e il cambiamento delle condizioni ambientali non li aiutò a sopravvivere. Noi abbiamo costruito un ambiente tecnologico gigantesco ma dobbiamo imparare a governare questo progresso.
Il comunicatore dovunque vada a comunicare e qualunque cosa comunichi non può “saltare”Popper e le sue classificazioni della cognitività. Parliamo a questo punto della sua dottrina, abbastanza originale, che non considera il cervello e la mente come “risolutori” ma propone di valutare anche i fenomeni intermedi di interazione. La teoria popperiana mostra che non basta, per parlare di processi cognitivi, prendere in esame “soltanto” la mente e il cervello. Sviluppa il problema dell’esistenza, della cognitività, dell’essenza del pensiero dell’uomo articolando il concetto dei “tre mondi”.
Mondo “1” E’ il mondo delle cose: la realtà fisica che sta fuori di me, esiste ed è esistente proprio come realtà fisica (se si urta un oggetto questo è una realtà fisica). Alcuni filosofi e studiosi hanno ritenuto che la realtà fisica fosse solamente quella che si riorganizza attraverso il pensiero della mente. Pertanto se si urta un oggetto si conferisce a questo l’attribuzione di oggetto, di cosa solida solo attraverso un processo che è stato insieme percettivo, mentale, esperienziale. Quell’oggetto non sarebbe esistito se non ci fosse stata la capacità del soggetto di assemblare percezione, esperienza , concezione della solidità; dunque l’oggetto comincia ad esistere solo quando il soggetto comincia a pensarlo e a conoscerlo come tale nel suo intelletto. E’ la interpretazione che si è indicata come “lucida follia solipsista”, che ha affascinato e continua ad affascinare una grande quantità di pensatori ed epistemologi del nostro tempo. Mondo “3” Del mondo 3 si parla in riferimento alla irruzione della cultura nel processo genetico. Circa duecentomila anni fa, all’interno della dinamica della fenomenologia del DNA che fabbricava la vita, la ripeteva e proponeva uno sviluppo e una evoluzione, è iniziata la “penetrazione” del processo culturale. Così l’esperienza è entrata nel processo genetico e si è passati dal fenotipo al genotipo. Questo è stato il più grande cambiamento che ha caratterizzato la storia dell’uomo in un tempo relativamente breve: ragionevolmente sulla base di ciò che attualmente conosciamo è una storia di duecentomila anni fa, con però 3-4 milioni di anni di allestimento-preparazione. Il mondo 3 è dunque il riconoscimento di un mondo culturale che influenza il pensiero e la materia ; c’è una realtà che si chiama cultura che agisce nel mondo e che è il frutto di una elaborazione concettuale, di una integrazione di concetti e di confronto degli stessi. Popper, tra la realtà biologica e la realtà culturale, inserisce il mondo 2 che è”Il Mondo Dell’Anima”. Se si vuol capire perché la realtà materiale è autonomamente esistente e perché i processi concettuali portano alla speculazione, all’interpretazione sistematica e metodologica del mondo, occorre un collegamento che è dato da significati spirituali che si attribuiscono a questi rapporti. Il codice attraverso il quale il mondo della materia passa al mondo dell’intelligenza è prevalentemente di natura spirituale. L’arte concettuale è quella che sviluppa un processo percettivo (ad esempio quando si ammira una scultura) mediante il filtro della ragione. Secondo Popper, anche inconsapevolmente , si attribuiscono significati che sono anche spirituali sia irrompendo nel mondo 1 e cioè attribuendo significati spirituali alla materia, sia irrompendo nel mondo 3, attribuendo significati spirituali alla speculazione concettuale. Il mondo dello spirito è però un mondo controverso e dibattuto. Le neuro-scienze di solito non citano né spirito, né parole che gli somigliano, né processi che somigliano alla fenomenologia spirituale quando interpretano il mondo. Gli epistemologi sono molto più attenti e affermano che, probabilmente una fenomenica spirituale può entrare nei processi cognitivi e passa attraverso la strada dei simboli e della metafora.
Si può riconsiderare a questo punto la dialogica ripartendo dal linguaggio. Gli esperti in neuroscienze fanno riferimento alla capacità di usare parole o segni e di combinarle in modo che i concetti della nostra mente possano essere trasmessi ad altri. C’è però anche una seconda fenomenologia che fa riferimento a come percepiamo le parole dette dagli altri e nella nostra mente le trasformiamo in concetti. Il linguaggio aiuta a categorizzare il mondo e a ridurre la complessità delle strutture concettuali a una scala gestibile. Il linguaggio compare nel corso dell’evoluzione quando i viventi che ci hanno preceduto divennero capaci di classificare in categorie le diverse azioni e di crearsi rappresentazioni mentali di oggetti, eventi, parti e relazioni tra di esse. Dicono Hanna e Antonio Damasio “sembra che i meccanismi neurali necessari per talune operazioni sintattiche siano in grado di maturare in maniera del tutto autonoma”. E ciò perché il cervello elabora il linguaggio attraverso tre gruppi interagenti di strutture: 1) Un grande gruppo di sistemi neurali rappresenta le interazioni non linguistiche fra il corpo e il suo ambiente, mediate dai diversi sistemi sensoriali e motori (che faccio, percepisco, penso, sento mentre agisco). Il cervello non classifica soltanto in categorie queste rappresentazioni non linguistiche (ad esempio forma, colore, successione o stato emotivo) ma crea un altro livello strutturale per i risultati di questa classificazione. 2)Un numero più piccolo di sistemi neurali rappresenta i fonemi, le combinazioni fonetiche e le regole sintattiche per la combinazione delle parole e la costruzione delle frasi. 3) Un terzo gruppo di strutture media tra i primi due raggruppamenti e può prendere la via di un esito concettuale e stimolare la produzione di forme e di parole oppure può ricevere parole per evocare concetti corrispondenti.
Nella realtà che si è venuta configurando emerge il valore dell’affidabilità dell’immagine che più e meglio della parola induce e crea seduzione e coinvolgimento emotivo. Comincia allora il gioco delle sinestesie dove gli elementi percettivi visivi rincorrono forme di seduzione che possono utilizzare ogni strada sensoriale per arrivare al cervello e attuarsi. La seduzione dell’oggetto va traslata in campo pubblicitario con modalità che innescano desideri nei possibili consumatori. Se ben proposta la seduzione agisce se i gradi di libertà e fantasia toccano gli occhi e il cervello di fruitore e se le connivenze tra oggetto e uso sono ben collegate in un processo simbiosico. Occorre poi che dopo aver indotto il senso del piacere d’uso si approdi all’oggetto costruendo una desiderabilità che a questo punto può divenire persuasione all’acquisto. Dunque per rendere desiderabile un prodotto va prima di tutto studiata la dinamica del desiderio che attiva, e di come questo desiderio si può inserire prima nella comunicazione e poi nella persuasione. Il momento nel quale il desiderio si polarizza in modo sperabilmente assoluto su un oggetto, la desiderabilità diviene cogente e non barattabile. E’ il momento nel quale l’oggetto di desiderio costruisce una dinamica deduttiva e il desiderio a questo livello è diventato “sano, trionfante irresistibile e demoniaco”. E pensate, per concludere, che il virgolettato fa riferimento a Kierkegaard!

PROGRAMMA DEL CORSO DI TEORIA DELLA PERCEZIONE E PSICOLOGIA DELLA FORMA
Anno Accademico 2005/2006
Nota: Include obbiettivi formativi, aspetti metodologici, bibliografia generale e specifica; i tre moduli possono essere oggetto di definizione sulla base delle prospettive scelte dallo studente.
Il progetto-proposta ha carattere biennale e per il 2004-2006 si basa su una struttura centrale e uno sviluppo teorico con correlati sperimentali.
Il nucleo fondante è costituito dallo studio dei processi di definizione percettiva degli stimoli costituiti dal mondo reale. Un aspetto specifico fa riferimento a distorsioni percettive e si svilupperà una indagine sulla discriminazione della profondità nella visione monoculare ripercorrendo il progetto di Le Corbusier a la Tourette, rivisitando il distacco di retina dell’architetto e la visione che ne conseguiva mimandola mediante l’uso combinato di lenti appositamente studiate e ricercando le capacità di correzione che riuscì ad attuare e usò nel proprio lavoro.
Si esamineranno le alterazioni percettive che sono oggetto di recenti ricerche e i sistemi fisiologici di adattamento.
Ci si propone anche di attuare una mostra che ripercorra in una struttura mobile il processo percettivo.
Si può dire in generale che esistono pochi problemi della scienza dell’arte che possono fare completamente a meno della psicologia, ma ancora minore è il numero dei problemi che possono essere risolti solo da essa. Poiché nel centro dell’opera d’arte sta sempre l’opera d’arte concreta e con ciò è già stabilita la cornice storica e quella di tutte le condizioni sociali. Nondimeno la scienza dell’arte non si risolve in storia e psicologia, poiché essa rimane sempre centrata sull’opera d’arte. La psicologia di cui la scienza dell’arte ha bisogno deve essere naturalmente una psicologia strettamente scientifica; ma non si può applicarla “senz’altro”, poiché nel campo dell’arte sorgono problemi nuovi e molto complicati. E l’impatto con la creatività è una componente mediatrice essenziale.
Il programma prospetta l’analisi dei processi di competenza e creazione artistica ricercando di essere all’altezza del tempo presente con la prospettiva di mantenere un vivo rapporto con le arti che coniugano le conoscenze alla fantasia.
Gli argomenti che vengono trattati si sviluppano secondo lo schema:
1) Il problema dei punti di vista delle conoscenze cambia la logica e le motivazioni della fenomenologia del percepire?
2) Che cosa significa vedere.
3) Dall’occhio al cervello: movimento, colore, ombra nella strutturazione delle forme.
4) La finestra su ciò che è fuori di noi e il linguaggio del segno che lo rappresenta.
5) Cervello, emozioni ed esperienza estetica.
6) La distanza come si rappresenta?
7) Il colore nell’occhio e nel cervello.
8) Il processo evolutivo del sistema nervoso e la “nascita” dell’arte.
9) I due emisferi cerebrali e le rappresentazioni-interpretazioni della realtà.
10) E’ ora di parlare di impulsi, sinapsi e circuiti.
11) L’architettura del sistema percettivo visivo nel suo complesso.
12) Ingrandimento e moduli.
13) Il corpo calloso e la stereopsia.
14) Deprivazione e sviluppo del sistema percettivo visivo.
15) Presente e futuro delle conoscenze sulla fenomenologia percettiva.
16) Forma, figura, aspetto delle cose.
17) Dare forma, plasmare, modellare, organizzare nella percezione visiva.
18) Fenomeni generali gestaltici.
19) Gestalt visiva.
20) Legge della vicinanza, della somiglianza, della chiusura, della continuità di direzione, della buona forma, dell’esperienza passata.
21) Le figure ambigue.
22) Illusioni ottiche e costanti percettive.
23) Arte, fotografia, cinema e televisione.
24) Multimedialità e rappresentazione del mondo.
25) Scambi di sensi: preistorie delle sinestesie.
26) La realtà virtuale.
27) In quanti modi si può rappresentare il mondo?
28) Progetto e cultura visiva.
Bibliografia
Johann Wolfgang Goethe
LA TEORIA DEI COLORI
Il Saggiatore
Jean Paul Sartre
IMMAGINE E COSCIENZA
Einaudi
Ernst H. Gombrich
ARTE E ILLUSIONE
Leonardo Arte
Betty Edwards
DISEGNARE CON LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO
Longanesi
Rossella Formilli Rita Marini
PERCEZIONE IMMAGINE ARTE
SEI
Michael S. Gazzaniga
LA MENTE INVENTATA
Guerini e Associati
Richard L. Gregory
OCCHIO E CERVELLO
Cortina
Franco Federici
SNC MODELLI COMUNICATIVI
L.P.B. Teeteto
David H. Hubel
OCCHIO, CERVELLO E VISIONE
Zanichelli
John M. Darley Sam Glucksberg Ronald A. Kinchla
PSICOLOGIA I°vol.
Il Mulino
Ave Appiano
PUBBLICITA’ COMUNICAZIONE IMMAGINE
Zanichelli
Gerald M. Edelman
SULLA MATERIA DELLA MENTE
Adelphi
Lamberto Maffei, Adriana Fiorentini
ARTE E CERVELLO
Zanichelli
N.B. L’assenza dell’anno di pubblicazione è sottesa dalla frequente ristampa con innovazioni e aggiunte di alcuni di questi testi; si tratta però di una bibliografia generale essenziale di facile riscontro anche senza questa indicazione; in ogni caso l’edizione precedente è certamente accettabile.
E’ disponibile un testo-dispensa gratuito che può essere richiesto per e-mail afederici@unipg.it o alla segreteria dell’Accademia secondo accordi diretti per non ostacolare lo svolgimento della normale attività.
Perugia, 24/10/2005 Prof. Franco Federici

ACCADEMIA DI BELLE ARTI PIETRO VANNUCCI
PROGRAMMA DEL CORSO DI TEORIA DELLA PERCEZIONE E PSICOLOGIA DELLA FORMA
Anno Accademico 2004/2005
Nota: Include obbiettivi formativi, aspetti metodologici, bibliografia generale e specifica; i tre moduli possono essere oggetto di definizione sulla base delle prospettive scelte dallo studente.
Il progetto-proposta ha carattere biennale e per il 2004-2006 si basa su una struttura centrale e uno sviluppo teorico con correlati sperimentali.
Il nucleo fondante è costituito dallo studio dei processi di definizione percettiva degli stimoli costituiti dal mondo reale. Un aspetto specifico fa riferimento a distorsioni percettive e si svilupperà una indagine sulla discriminazione della profondità nella visione monoculare ripercorrendo il progetto di Le Corbusier a la Tourette, rivisitando il distacco di retina dell’architetto e la visione che ne conseguiva mimandola mediante l’uso combinato di lenti appositamente studiate e ricercando le capacità di correzione che riuscì ad attuare e usò nel proprio lavoro.
Si esamineranno le alterazioni percettive che sono oggetto di recenti ricerche e i sistemi fisiologici di adattamento.
Ci si propone anche di attuare una mostra che ripercorra in una struttura mobile il processo percettivo.
Si può dire in generale che esistono pochi problemi della scienza dell’arte che possono fare completamente a meno della psicologia, ma ancora minore è il numero dei problemi che possono essere risolti solo da essa. Poiché nel centro dell’opera d’arte sta sempre l’opera d’arte concreta e con ciò è già stabilita la cornice storica e quella di tutte le condizioni sociali. Nondimeno la scienza dell’arte non si risolve in storia e psicologia, poiché essa rimane sempre centrata sull’opera d’arte. La psicologia di cui la scienza dell’arte ha bisogno deve essere naturalmente una psicologia strettamente scientifica; ma non si può applicarla “senz’altro”, poiché nel campo dell’arte sorgono problemi nuovi e molto complicati. E l’impatto con la creatività è una componente mediatrice essenziale.
Il programma prospetta l’analisi dei processi di competenza e creazione artistica ricercando di essere all’altezza del tempo presente con la prospettiva di mantenere un vivo rapporto con le arti che coniugano le conoscenze alla fantasia.
Gli argomenti che vengono trattati si sviluppano secondo lo schema:
1) Il problema dei punti di vista delle conoscenze cambia la logica e le motivazioni della fenomenologia del percepire?
2) Che cosa significa vedere.
3) Dall’occhio al cervello: movimento, colore, ombra nella strutturazione delle forme.
4) La finestra su ciò che è fuori di noi e il linguaggio del segno che lo rappresenta.
5) Cervello, emozioni ed esperienza estetica.
6) La distanza come si rappresenta?
7) Il colore nell’occhio e nel cervello.
8) Il processo evolutivo del sistema nervoso e la “nascita” dell’arte.
9) I due emisferi cerebrali e le rappresentazioni-interpretazioni della realtà.
10) E’ ora di parlare di impulsi, sinapsi e circuiti.
11) L’architettura del sistema percettivo visivo nel suo complesso.
12) Ingrandimento e moduli.
13) Il corpo calloso e la stereopsia.
14) Deprivazione e sviluppo del sistema percettivo visivo.
15) Presente e futuro delle conoscenze sulla fenomenologia percettiva.
16) Forma, figura, aspetto delle cose.
17) Dare forma, plasmare, modellare, organizzare nella percezione visiva.
18) Fenomeni generali gestaltici.
19) Gestalt visiva.
20) Legge della vicinanza, della somiglianza, della chiusura, della continuità di direzione, della buona forma, dell’esperienza passata.
21) Le figure ambigue.
22) Illusioni ottiche e costanti percettive.
23) Arte, fotografia, cinema e televisione.
24) Multimedialità e rappresentazione del mondo.
25) Scambi di sensi: preistorie delle sinestesie.
26) La realtà virtuale.
27) In quanti modi si può rappresentare il mondo?
28) Progetto e cultura visiva.
Bibliografia
Johann Wolfgang Goethe
LA TEORIA DEI COLORI
Il Saggiatore
Jean Paul Sartre
IMMAGINE E COSCIENZA
Einaudi
Ernst H. Gombrich
ARTE E ILLUSIONE
Leonardo Arte
Betty Edwards
DISEGNARE CON LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO
Longanesi
Rossella Formilli Rita Marini
PERCEZIONE IMMAGINE ARTE
SEI
Michael S. Gazzaniga
LA MENTE INVENTATA
Guerini e Associati
Richard L. Gregory
OCCHIO E CERVELLO
Cortina
Franco Federici
SNC MODELLI COMUNICATIVI
L.P.B. Teeteto
David H. Hubel
OCCHIO, CERVELLO E VISIONE
Zanichelli
John M. Darley Sam Glucksberg Ronald A. Kinchla
PSICOLOGIA I°vol.
Il Mulino
Ave Appiano
PUBBLICITA’ COMUNICAZIONE IMMAGINE
Zanichelli
Gerald M. Edelman
SULLA MATERIA DELLA MENTE
Adelphi
Lamberto Maffei, Adriana Fiorentini
ARTE E CERVELLO
Zanichelli
N.B. L’assenza dell’anno di pubblicazione è sottesa dalla frequente ristampa con innovazioni e aggiunte di alcuni di questi testi; si tratta però di una bibliografia generale essenziale di facile riscontro anche senza questa indicazione; in ogni caso l’edizione precedente è certamente accettabile.
E’ disponibile un testo-dispensa gratuito che può essere richiesto per e-mail afederici@unipg.it o alla segreteria dell’Accademia secondo accordi diretti per non ostacolare lo svolgimento della normale attività.

PROGRAMMA DEL CORSO DI PSICOLOGIA DEI CONSUMI E DELLA PUBBLICITA’
Anno Accademico 2003-2004
E’ un lungo viaggio all’interno della disciplina etimologica quello che si fa per arrivare al termine e al concetto di “consumi”. Cortellazzo e Zolli nel dizionario etimologico rintracciano in F. Sassetti 1584, la definizione “Atto, modo, effetto del consumare e del consumarsi”. Genera qualche perplessità anche rispetto all’uso corrente la
definizione di A. Rosmini 1855, “distruzione totale o parziale di un bene economico per scopi di produzione o per soddisfare bisogni dell’uomo”. Molto più vicino al senso che oggi attribuiamo al termine, Dante nel 1294 che per il verbo transitivo consumare fornisce la spiegazione “compiere, portare a fine”. E del resto il latino consummare, è composto parasintetico di summa “punto supremo, somma”.
Il corso sarà l’occasione per rivisitare i processi linguistici e storici che oggi definiscono il termine consumi. Si produrranno comparazioni tra l’immagine mentale dei partecipanti per definire come il linguaggio verbale interiore e il linguaggio iconico si misurano con quello pubblicitario che certamente ha influito per la definizione moderna del termine.
La pubblicità ha certamente utilizzato, le figure della retorica classica per determinare l’idea moderna ed estesa del consumo e del consumare. Si esperirà la possibilità attraverso un lavoro partecipativo di strutturare una moderna definizione attraverso una decodifica dei messaggi che riguardano il termine.
Della Pubblicità gli studenti di questo Corso di Laurea conoscono le teorie, le tecniche che la sottendono e la strutturano e il contributo specifico che si propone è una analisi critica delle dinamiche mentali che sottendono la comunicazione pubblicitaria che affidata ad una concatenazione di segni strutturano suoni, grafie, figure che non stanno solamente a rappresentare se stesse ma qualcos’altro conducendo un significato che in un determinato contesto veicola il messaggio.
Si esamineranno le strategie iconico-verbali per rilevare la produzione delle immagini che si pongono fra semiotica e retorica.
Dal punto di vista sperimentale si esaminerà la possibilità di produrre una analisi critica del ruolo della pubblicità nel determinare nuovi modelli di comunicazione.
Testi Utili
Arnheim, R.
Il potere del centro. Torino Einaudi 1984
Baldini M.
Le fantaparole. Il linguaggio della pubblicità. Roma Armando 1987
Calabrese O.
Carosello o dell’educazione serale. Firenze Clusf 1975
De Mauro T.
Minisemantica dei linguaggi non verbali e delle lingue. Bari Laterza 1982
Eco U.
La struttura assente. Milano Bompiani 1968
Eco U.
Trattato di semiotica generale. Milano Bompiani 1975
Lévi-Strauss C.
Il crudo e il cotto. Milano Il Saggiatore 1966
Semprini A. Lo sguardo semiotico Milano Franco Angeli 1990
Testa A. la parola immaginata Parma Pratiche Editrice 1988
Watson J. E Hill A.
Dizionario della Comunicazione Novara Istituto Geografico De Agostini 1989

PROGRAMMA DEL CORSO DI PSICOLOGIA DEI PROCESSI COGNITIVI 2001
Il corso presenta una propria continuità che è didatticamente espressa dall’aggiornamento del materiale ricavabile dalle dispense che durante l’anno vengono fornite.
La filosofia che orienta il corso si propone di visitare le basi neurobiologiche dell’apprendimento e del comportamento ponendo il problema della conoscenza dell’uomo come esito di un processo universale e complesso che porta in sé meccanismi comunicativi che quando definiti in un dato tempoimplicano una proiezione di quesiti, risposte, teorie fino-a ,ma anche analoghe risoluzioni da-verso. Insomma si riferiscono ai criteri che fondano il processo di ascoltare, parlare, comprendere farsi comprendere. Ciò proprio perché i gradi di libertà dell’epigenesi o di qualunque altro fenomeno accettabile ed agente sul processo cognitivo sono attivi e variabili proprio mentre li determiniamo. E come prodotto del cervello dell’uomo è anche per questo che i processi conoscitivi e persino le teorie che ne derivano o li sottendono “non sono la descrizione di alcunché”, non sono una rappresentazione definitiva del reale ma la sua variabile espressa. Dunque se si imposta il problema della cognitività secondo i criteri del rapporto tra cervello e mente ci si imbatte frequentemente nel problema del reale e della sua definizione. Che è vera fino a quando resiste alle ipotesi di falsificazione solo in quanto concetto, perché essa non è la realtàma una sua dimensione.
In questa fase di evoluzione della ricerca conoscitiva si va scoprendo che sono i problemi che divengono la principale risorsa per la scienza ancor più delle rispettive soluzioni. E che comunicare è impostare un problema. E’ in questo contesto che le lingue e le culture trasformano la percezione e creano dell’esistenza mondi diversi.